La storia della regata della Centomiglia velica merita un lungo capitolo. Già detto di “Airone”, di “Manjana”, e delle Renjollen, arrivano altre 71 edizioni. È una storia nella storia, tutto o quasi vero, anche troppo, altrettanti tecnicismi, che quando non si capiscono è, forse, meglio lasciar perdere. Lasciano più spazio all’immaginazione. Le certezze ci sono. Possono essere ridiscusse o lette sotto un’altra lente. È la favola bella. Così la definì il velista ligure Beppe Croce, uomo di mare, uno dei padri della vela internazionale, atleta olimpico, presidente sia della federazione mondiale, sia di quella italiana. Fu massimo dirigente del Coni, grande mediatore quando lo sport finì come arma di ricatto durante la Guerra fredda.
Croce amava correre con le sue barche. Per anni, a settembre, arrivava dalla sua Genova a Gargnano. Portava i suoi 5.5 metri, la carena della stazza internazionale, ancora categoria olimpica. Voleva misurarsi nel giro del Grande Lago. Nel 1964 vinse in assoluto. Non fu una vittoria qualsiasi. Solo 3 barche domarono onde e raffiche di un temporale estivo
e si presentarono sul traguardo. A bordo di “Manuela”, scafo vincitore, c’era tutta la sua famiglia. Beppe alla barra del timone, alle manovre i figli Gigi (skipper olimpico a Tokio 1964) e Carlo (a Monaco-Kiel 1972
e Montreal 1976). Croce vinse anche il suo ultimo titolo in carriera. Era quello di Campione d’Italia 1969 a Torbole.
L’unico rammarico nel parlare di Centomiglia è dover sacrificare molte cose sentite, spifferate, qualche “fanfariata” solenne, e altro ancora. La rotta tracciata dalle pagine ingiallite dei vecchi archivi al Club di Gargnano ci ha riportato a spasso per un Lago e una Regata, da sempre con un fascino del tutto particolare. Non mancarono, allora come oggi, autentiche scoperte, che aiutano a capire come la gara sia il vero manifesto di queste rive, dei suoi sodalizi velici. Come il primo “Portolano”, redatto addirittura nel lontano 1923. Raccolto negli anni ’50 dai soci, i ragazzi, che animavano il Circolo Vela, e anche Motore, di Gargnano. Scrivevano “Cento Miglia” staccato. Pubblicavano racconti di Orio Vergani. La sua penna parlava del Benaco, delle sue ricchezze. L’ingegner Giacomo Garioni, il Giacomino per quelli di Gargnano, uno dei padri fondatori, definiva la regata “Un inno alla vela”. Cino Massari, che abbiamo conosciuto come tesoriere, spiegava
Il 5.5 m.s.i. “Mad” di Beppe Croce alla Centomiglia del 1955
Renzo Castagneto, ideatore della Mille Miglia, nel porto di Bogliaco ospite alla partenza di una Centomiglia anni ’50
la potenzialità economica. Annotava ogni piccola spesa su un quaderno a righe. Che dire di Luciano Mondini, inviato di punta del giornalismo della provincia bresciana. Si dava da fare per coinvolgere le “penne”, e… anche molte… pene, di tutte le testate nazionali più l’immancabile tedesco, riverito e servito, che si presentava come grande firma, per poi sparire nel nulla, come le sue prose. Giulio Cesare Carcano, l’ingegnere di Mandello del Lario, che nella vela è stato il papà dei 5.50 “Volpina”, dei leggendari “Manuela” di Croce e, nel motociclismo, di tutte le vere Guzzi, “Falcone” e V7”, analizzava aspetti tecnici, negli stessi anni in cui aveva già disegnato la prima barca italiana per l’America’s Cup.
L’ingegner Carcano mi è tornato in mente poco tempo fa grazie al pittore Ligabue, celebrato da una bellissima mostra proposta in quel di Desenzano. L’aggancio erano le sue scorribande dall’Emilia verso il Lago con la sua rossa moto Guzzi. Credo fosse un Falcone. Guarda caso a elaborare quella motocicletta fu proprio Carcano, l’ingegnere di barca a vela e da canottaggio, fino al Bob che vinse le Olimpiadi Invernali di Cortina d’Ampezzo 1956.
Questo racconto del lago era partito con i voli di Pindaro. Sempre più si ritrova con storie, leggende e altro, quasi tutto, ho scritto quasi, vero, qualche immancabile licenza poetica. Ma torniamo alla piazzetta di Bogliaco, l’agorà delle regate, di tante manifestazioni, soprattutto della Centomiglia. Prima si partiva da Gargnano, sempre una piazza, sempre
con tanti esperti. Lì abbiamo visto gente capire tutto di rande, fiocchi, pinne, siluri e pappafichi vari. Come succede nel calcio o nella formula uno. È un mondo che può sembrare ripetitivo. Non lo è. Ha una sua identità. All’impresa sportiva, alla voglia di vincere la “Cento Miglia”, ha saputo aggiungere quello che qualcuno ha definito: ”Avventura e leggenda”. Oggi è storia. O forse lo credo solo io. Ma non occorre scomodare i tanti cantori dei lago, dal solito Goethe al D’Annunzio. Da questi abbiamo già attinto nelle prime pagine del nostro viaggio intorno al Lago, che poi è il nostro Mondo. La Cento è un Evento con i suoi nuovi narratori, i suoi campioni, soprattutto le sue evoluzioni in campo tecnologico.